SCHERZA COI FANTI...

 Le undici di sera erano  scoccate da un  bel po’, quando  una figuretta femminile spuntò da una delle cinque stradine  che davano sulla piazzetta, simili  ad altrettanti immissari  di un lago appena rischiarato da qualche malandato lampione.

La ragazza si fermò  per qualche attimo,  forse colta da  un residuo di agorafobia,  poi si  diresse verso  la chiesa  di San Giorgio, che dava il nome alla piazzetta.

Giunta davanti alla facciata alzò il viso verso il rosone in stile barocco e spinse lo sguardo  ancora più in alto, sino  alle possenti arcate e alle guglie maestose.

Nonostante l'imponenza della  costruzione, quel che  colpiva maggiormente l'occhio  era l'alta statua  di  San Giorgio, eseguita in bronzo: sovrastava il grande portale di  ferro, diviso in  riquadri   a  bassorilievo,  che illustravano scene della vita del Santo.

La statua raffigurava un cavaliere  in corazza e  schinieri, privo dell'elmo che avrebbe nascosto i riccioli, lunghi fino alle spalle: le braccia conserte, guardava davanti a sé con aria di malinconica attesa. L'espressione del viso era  tale da far supporre che il cavaliere stesse aspettando  qualcosa (o qualcuno).

“Strano.”  pensò  la ragazza  “Una  chiesa  tanto bella costruita in un posto misero e squallido. E poi difficile da  trovare. Avrò  chiesto indicazioni  ad  almeno dieci persone  del quartiere,  eppure, non  fosse stato  per quel gatto che mi è schizzato davanti, e che quasi mi faceva cadere, non mi  sarei accorta della  fioca luce  in fondo  a quel vicoletto ad angolo. Sarei andata oltre e non sarei mai arrivata nella piazza. Questa parte della città è un vero  e proprio labirinto. Sono  quasi quattro ore  che giro, e  tra poco sarà mezzanotte. Il portone della chiesa non è  nemmeno aperto, ovviamente. Che male ai piedi. E il peggio è che  mi toccherà tornarci domani. Ma cosa gli è preso al professore, di ordinare una ricerca su questa chiesa e su questa statua. Che cosa avranno mai di tanto importante?”

Si guardò in giro.

“Non vedo anima viva. E questo silenzio... sembra un  posto da agguati, come se ne vedono  nei film dell'orrore.  Meglio tornare a casa, prima che cominci veramente a spaventarmi.”

Quasi a voler dare corpo  ai timori espressi  da Diana (e a quelli ancora  in  embrione), da  uno  dei  vicoli  uscì  un gruppetto di tre ragazzi. Guardarono Diana,  confabularono  per alcuni  secondi  e  si diressero verso di lei con passo lento.

La ragazza  osservò  le loro  mani  infilate  nelle  tasche, l'abbigliamento uniforme composto da giubbotti e calzoni  di pelle, i capelli tagliati quasi a spazzola, la profusione di orecchini sui  lobi...  e capì  di  trovarsi in  un  brutto, bruttissimo guaio.

Come  già  Don  Abbondio,  tornò  ad  esplorare  la  piazza, cercando altri segni di vita... niente.

Non poteva  nemmeno  pensare di  fuggire,  perché i  tre  le sbarravano ogni direzione...

Il più alto le si avvicinò baldanzoso, sorridendo con l'aria sicura e sprezzante di chi è  conscio della propria forza  e della debolezza degli altri.

“Ciao,  carina.” le  disse  poggiandole  una  mano  sulla spalla  “Cosa fai in giro a quest'ora, in questi posti? Non sai che possono essere pericolosi, molto pericolosi per  una graziosa bambolina come te?” e la mano scivolò sul seno.

Diana tentò di non mostrare tutta la sua paura, ma gli occhi le si erano riempiti di lacrime.

“Per favore...”  balbettò.

Ma l'altro  non se  ne diede  per inteso  e, sempre  con  lo stesso falso sorriso  sulle labbra, continuò:  “Per  favore cosa? Vuoi  essere accompagnata  a casa?  Ragazzi,  vogliamo fare da cavalieri alla signorina?”

Due  risatine  soffocate   e  minacciose  accolsero   quella domanda.

“Certo,  bellina, che  la nostra  buona volontà  merita  un premio, non credi?” e la  mano strinse forte il braccio  di Diana, iniziando poi a tirarla verso uno dei vicoli.

“Via, un pochino di gentilezza verso di noi, per  ricompensarci di quanto faremo per te...“

Diana sentì le  sue ginocchia che  si piegavano. Chiuse  gli occhi... e subito dopo li spalancò, udendo il giovane urlare di dolore, e accorgendosi che la stretta sul suo braccio era bruscamente cessata.

Infatti,  una  mano  guantata  stava  torcendo  quella   del ragazzo, che lentamente si piegava verso terra.

Colse fugacemente la visione di una lunga chioma  riccioluta e una  (...corazza?),  poi  non  volle  vedere  altro  e  si accasciò.

Un braccio  del  suo salvatore  si  protese  verso  di  lei, l'abbrancò mentre  cadeva  e  la  depose  con  dolcezza  sui gradini della chiesa.

Quindi il cavaliere rivolse la sua attenzione al delinquente mezzo piegato  che  gli stava  di  fronte.  Costui  provò  a colpirlo con  un calcio,  ma un'ulteriore  torsione del  suo polso lo costrinse a battere la fronte sul selciato.

I due  rimasti  si guardarono  in  faccia.  Uno  sfoderò  un coltello a  serramanico,  aprendolo con  uno  scatto  secco, mentre l'altro fece  roteare sulla  sua testa  una grossa  e pesante catena d'acciaio; entrambi si spostarono in  cerchio per circondare il  cavaliere, che li  guardava con aria  tra l'indifferente ed il sornione.

Lo scontro si risolse nel giro di pochi istanti.

I due furono  disarmati con  due soli  colpi velocissimi  e, quasi nello stesso  tempo, furono afferrati  per il collo  e sbattuti testa contro testa: crollarono come fulminati.

 

Diana riprese i sensi e non  riuscì a reprimere un  grido di terrore alla vista della statua di San Giorgio, che ora le stava davanti in carne ed ossa.

“Donne!” rise il Santo, con un tono che era un  capolavoro di ironia e  divertimento “Non imparerete  mai, dunque,  a distinguere gli  amici  dai nemici?”  disse,  scuotendo  le chiome.

“Grazie...” mormorò Diana abbassando lo sguardo.

Due dita le sollevarono il mento.

“Sono io che devo ringraziare  te.” rispose il  cavaliere, fissandola col suo sguardo penetrante. “Non  puoi  nemmeno immaginare  qual  piacere  si  provi  a sgranchirsi le ossa dopo seicento anni di immobilità”.

Allora la ragazza scoppiò  a piangere, e  tra le lacrime  lo vide  confusamente  arrampicarsi   sul  suo  piedistallo   e riprendere la propria posizione a braccia conserte. I  corpi dei tre  ragazzi  storditi le  assicurarono  che  non  aveva sognato e non stava sognando.

Si avvicinò tremando alla statua. San Giorgio era nuovamente di bronzo.

Il suo  viso,  però,  non era  più  pervaso, come prima,  da  una  severa malinconia: al contrario,  era illuminato da  una specie  di sorrisetto malizioso, da colui che sa molte cose, ma che non ha intenzione di rivelare ad alcuno quel che sa.