QUATTRO PASSI

 

L'odore della  terra  umida, la  tenue  fragranza  dell'erba bagnata, mi richiamavano alla mente situazioni già vissute. Ma il prato sul quale camminavo era solido, non cedevole  né fangoso.

Il sole,  rosso al  crepuscolo, tingeva  di sangue  la  rada nebbiolina  che  mi  avvolgeva  i  piedi  senza   impedirmi, tuttavia, di vedere ove li posassi.

Ero entrato da un cancello... ma  no. Una semplice  apertura nel muro di cinta. Ma non  vedevo alcun muro di cinta.  Solo alti cespugli di rose, di tutti  i colori sotto il sole  del mattino,  e  in  quel  momento  tutte  dello  stesso  colore rossiccio.

Non c'era quel silenzio innaturale che mi aspettavo.

Il lieve stormire  delle foglie e  il pacato cinguettio  dei passeri toglievano a  quel luogo quanto  di lugubre  potesse esserci.

L'aria stessa non  era secca e  stagnante, ma  mossa da  una leggera brezza che scompigliava delicatamente i capelli. Non potevo sentirmi in pericolo, in un posto simile.

Seguii il  viottolo  di  ghiaia  scintillante  che  scendeva dolcemente,  e  inspirai  a  fondo  mentre  il  mio  sguardo abbracciava lo strano spettacolo.

Una  fila  di  urne  di  cristallo,  tutte  differenti per dimensioni ed ornamenti.

E su tutte era inciso un nome di donna.

E tutte contenevano cenere.

Mentre scorrevo i nomi notai che tra quelle ceneri  riposava una pietra  preziosa, sempre  differente; lasciai  che  quei gioielli mi riportassero a momenti gioiosi e dolorosi  della mia vita.

Mi soffermai davanti all'ultima teca.

Più grande delle altre, conteneva  solo un grosso  diamante, dal quale scaturivano fiamme; esse conferivano all'involucro trasparente  uno  splendore  tale  da  rivaleggiare  con  la soffusa luminosità che mi circondava.

Ma il cristallo,  su cui appoggiai  cautamente la mano,  era freddo al pari degli altri.

Non vi era inciso alcun nome.

Solo il monito:

"MEMENTO QUIA PULVIS ES, ET IN PULVERE REVERTERIS."

Sorrisi: cominciavo a comprendere.

Oltrepassata l'ultima  urna, non  fui affatto  sorpreso  che apparisse la  prima tomba  e, alzando  lo sguardo,  le  vidi tutte perfettamente allineate, di  marmo bianco, ma  diverse per forma e grandezza.

Iniziai a leggere, sulle  croci, i nomi  di amici e  parenti scomparsi.

E ancora  una  volta,  leggendo  e  camminando,  mi  lasciai avvolgere da dolci e amare memorie.

L'ultima tomba della fila era situata su una collinetta. Salendo, ero sicuro  che su  quella croce  fosse scritto  il nome di mio padre.

Toccai il marmo. Era freddo, benché emanasse a sua volta una luce rossastra, come fosse incandescente.

Rimasi lì, in  contemplazione, per molto  più tempo che  non davanti all'ultima urna.

Poi mi rialzai, mentre il sole era scomparso.

Ma nemmeno l'oscurità mi intimoriva minimamente.

Ormai sapevo con assoluta certezza cosa fosse quel luogo.

Passeggiai ancora molto a lungo,  quella sera, nel  giardino dei ricordi.

Solo dolcezza e tenerezza aleggiavano, nel cimitero del  mio cuore.