L Y S
POTREBBE ANCHE CAPITARE...
"Mi scusi, signore...
signore?"
L'ultima cosa che mi
aspettavo, mentre cercavo
convulsamente di aprire la stramaledetta
portiera della mia stramaledettissima auto, era sentirmi
interpellare da una voce argentina che
poteva provenire solo da una giovane donna.
Sorpreso, alzai lo sguardo:
e fu peggio, perché quello che vidi bastò a paralizzarmi.
Quella era sicuramente la più
bella sconosciuta che fosse mai capitata nei miei paraggi.
Altissima, roba da non crederci; quasi quanto me, che non
sono certo un nano. Un caschetto di
capelli castani che incorniciava
un ovale delizioso, impreziosito da due
occhi talmente grandi e profondi
che... Irritato con me stesso, richiusi di
scatto la bocca, rendendomi conto
che la tenevo aperta già da un po’.
"Signore? Si sente
bene?"
"Sì, sì,
benissimo. Mi scusi, ma... sa... non sono abituato... beh, insomma, cosa
desidera?"
"Volevo semplicemente
chiederle dove potrei trovare un albergo. Sono appena arrivata
in questa città,
che tra l'altro
non conosco... lei è la prima
persona che incontro... sarebbe così gentile?"
Sull'istante non colsi
un'evidente stranezza: quella ragazza
non portava alcun bagaglio.
Ma ero talmente imbambolato che il
particolare mi tornò alla mente solo più tardi.
Riuscii comunque, lottando
per tenere a posto la mandibola, che tendeva ancora ad abbassarsi, a mormorare
un impacciato: "Certo... certo... mi lasci pensare..."
Ma più la guardavo e
meno riuscivo a connettere. Per cui cercai di concentrarmi sul mazzo
di chiavi che avevo
in mano e le chiesi:
"Dunque, questa città è
piena di alberghi. Quanto vuole... o può
spendere?"
E la guardai ancora in viso.
Ancora oggi non so spiegarmi il perché, senza attendere la sua risposta, mi ritrovai ad aggiungere,
abbassando gli occhi: "Senta, quanto tempo deve fermarsi qui?"
"Veramente non lo so...
dipende..."
"Allora... non mi
fraintenda, la prego. Se vuole, io... ho una casa molto grande...
in pratica ci
vivo da solo...
potrei ospitarla... senza secondi fini, s'intende..."
E mi fermai, perché
altrimenti avrei senz'altro aggiunto:
"Ti prego, non dirmi di
no."
La guardai ancora, sicuro
che ora mi avrebbe mandato a quel paese molto più velocemente di quanto ci
avessi messo io ad esprimere i miei stentati concetti.
Lei, invece, mi sorrise
dolcemente e si limitò ad annuire.
Con estrema naturalezza
si portò dall'altro
lato della mia vettura: mi ci vollero alcuni minuti per
realizzare che aveva accettato.
Mi sedetti al posto di guida
e aprii la portiera dal suo lato. Mi sentivo galleggiare su di una nuvola.
Non parlammo più, durante il
tragitto fino a casa mia.
La guidai attraverso
le varie stanze,
fermandomi nella mia camera-studio: mi parve particolarmente (stranamente)
interessata alle varie opere di genere fantasy presenti nella mia libreria. Non
fece commenti, che io ricordi.
Poi le indicai, nel salone, il letto richiudibile dove avrebbe potuto sistemarsi per la notte.
Dovetti deglutire per la
sorpresa quando, come se niente fosse, osservò:
"Il tuo letto è
matrimoniale. Perché vorresti farmi dormire
qui, da sola?"
Sbalordito, risposi:
"Ma, ti assicuro che non ho
mai, neanche lontanamente,
pensato che..."
"Lo so che non ci hai pensato. Ti vergogneresti di dormire con me?"
"No, assolutamente.
Però..."
"Stai tranquillo, non
ti salterò addosso."
"Non è quello. Sai...
non ci sono più abituato... mi sembra tutto così strano... e poi... sei così
bella..."
"Questo cosa
c'entra?"
"Niente. Mi è venuto
così. Comunque... se sei sicura che
non ti darebbe fastidio..."
"Sciocco. Se te l'ho
chiesto io..."
"Già... già! Vogliamo
cenare?"
Cenammo: anzi, cenai, perché
lei guardava solamente. Più che non aver
fame, sembrava che non avesse alcun bisogno di cibo... ma anche questo lo ricordai solo in seguito.
Dopo, insistetti per vedere
un film in televisione, e quando finì cominciai a mostrarle i miei dischi, le
mie fotografie... insomma cercavo in tutti i modi di rimandare il momento in
cui si sarebbe pur dovuto dormire.
Lei non diede segno di
accorgersi della mia crescente ansia. Infine, a notte fonda, le dissi:
"Okay, adesso sarà veramente meglio
andare a letto... scusa: volevo dire... a dormire."
Lei
sorrise ancora (ricorderò quel sorriso
finché avrò vita) e, senza
parlare, mi abbracciò.
Mi risvegliai con la netta
sensazione che quello sarebbe stato il più bel giorno della mia vita, ma già
mentre spostavo il braccio di fianco
a me, senza trovare il suo corpo,
seppi che sarebbe invece stato il
giorno più brutto.
Non
volli aprire gli occhi, per evitare l'orrendo impatto con la triste realtà.
Strinsi
forte le palpebre, e un Morfeo pietoso
mi fece ricadere in un sonno profondo.
La
voce di Alex, che bussava alla mia porta, mi resuscitò.
Andai ad aprigli con movenze da sonnambulo, o
almeno penso di avergli dato
quell'impressione, dato che appena entrato: "Sveglia!" disse
"Sempre in coma profondo, eh?
Abbiamo fatto le ore piccole? Va
bene che oggi è Domenica,
ma è mezzogiorno passato."
Buttarlo fuori di casa su
due piedi non sarebbe certo servito a farmi sentire meglio, per cui mi diressi in bagno e lasciai che l'acqua fredda mi riportasse
lentamente alla vita, quale
che fosse.
Trovai Alex con in
mano un libro che avevo
comprato qualche giorno prima, e
che non avevo ancora letto.
Lui si girò verso di me:
"Ancora libri di
fantasy? Non cambierai mai! Ma, in fondo,
sai che ti dico? Beato te che credi ancora alle fate!"
Fu un attimo.
Gli strappai il libro dalle
mani e, già immaginando quello che ci avrei trovato, gettai uno sguardo alla
copertina illustrata, che rappresentava
alcune fate svolazzanti tra fiori giganteschi.
E non mi ero sbagliato,
purtroppo!
Il volto di una di
quelle fate era quello che tanto
avevo amato nelle poche ore passate con
Lei.
Devo essere rimasto
impietrito a lungo,
perché confusamente sentivo Alex
ripetermi:
"Alf! Cosa ti
prende?" "Alf,
rispondimi!" "Stai bene,
Alf?" "Alf... Alf!!!"
LYS
Si chiese, per l'ennesima
volta, quando fosse cominciato.
Quella voce che
ormai lo perseguitava in
ogni minuto della giornata, negli ultimi
tempi era divenuta così
insistente e pressante da
impedirgli di concentrarsi su qualsiasi cosa. Benché adoperasse
tutta la sua
volontà nel non ascoltare
quell'angosciante richiesta di aiuto, la
sua vita ne era stata completamente sconvolta.
La cosa diventava straziante
alla fine della giornata di lavoro: nel
momento in cui si sarebbe
potuto rilassare, si ritrovava invece a
dover prestare orecchio
a quelle parole
che si infiltravano in tutte le
regioni del cervello, senza scampo.
A tutta prima non era
riuscito a decifrare i messaggi: udiva
una cantilena di sillabe slegate, che solo dopo alcuni giorni avevano
iniziato ad assumere un senso compiuto.
Quello che l'aveva colpito sin dal primo istante
era stata la voce. Calda,
profonda, carezzevole, quasi... e a questo punto si fermava: semplicemente non
esisteva aggettivo che la
potesse definire.
Una sola cosa era certa.
Chiunque
stesse inviando quei messaggi
si trovava in un bel
pasticcio.
Quella notte sapeva già che
non avrebbe dormito. Durante tutto il giorno la voce si era fatta sentire
evidenziando un'ansia ed una sofferenza
insopportabili, spingendolo a fare qualcosa, qualsiasi cosa.
E come
volentieri l'avrebbe fatta,
pur di liberarsi
da quell'incubo.
NO.
In fondo non poteva
definirlo tale.
Quei suoni gli avevano
tenuto compagnia, per quanto imbarazzante, come mai gli era successo prima di
allora. O meglio... forse una volta...
ma era così lontano nel tempo...
Un particolare
l'aveva trattenuto dal
rivolgersi ad uno
strizzacervelli: quella voce apparteneva indiscutibilmente ad una donna.
Gettò da una parte le
coperte. Aspettava che succedesse qualcosa
di nuovo. Quella era la notte giusta: una leggera brezza gonfiava le
bianche tende della grande portafinestra lasciando
meglio filtrare, nella penombra della stanza, i raggi lunari. Tutto era perfetto.
E qualcosa successe.
All'improvviso il flusso di
parole che gli turbinava nella mente
s'interruppe di colpo.
Sorpreso, si rizzò a sedere
sul letto. E adesso?
Una nebbiolina bianca iniziò
a formarsi ai suoi piedi.
Alf spalancò gli occhi.
La nebbia vorticò ancora qualche istante, per poi
assumere i contorni di un viso
femminile, impalpabile e trasparente, ma
del quale era impossibile
non cogliere l'estrema
bellezza, delicatezza e dolcezza assieme. A chi apparteneva quel volto?
Alf aveva la netta sensazione di saperlo... ma non riusciva a mettere a
fuoco... eppure la conosceva...
Il ricordo gli balzò
addosso, con forza talmente brutale da farlo vacillare, come una tremenda
mazzata sulla fronte.
LA FATA!
LA SUA FATA PERDUTA!
Non badò al suo cuore,
impegnato in una serie di salti mortali, ma visse solo
per sentire ciò
che quelle labbra
avrebbero pronunciato.
Ed ella parlò.
Gli raccontò del castello,
nel quale si trovava
prigioniera, rapita durante il transito dal mondo reale a quello fatato. Gli spiegò di averlo dovuto abbandonare,
"quella" notte, in virtù di
forze superiori alle quali non
aveva potuto opporsi. Gli narrò delle sue spaventose condizioni
attuali. Lo supplicò di aiutarla, benché non
potesse promettergli nulla in
cambio, neppure sé stessa. Gli confidò che le sarebbe
piaciuto poter restare ancora con lui.
Ad Alf non serviva altro!
Si alzò, sentendosi più
forte che mai, e le chiese cosa avrebbe dovuto fare per salvarla.
La risposta non si fece
attendere.
"Dovresti affrontare
tre prove... ma io non ho
il coraggio di chiederti tanto...
di osare tanto per me." disse la fata.
"Tu pensa a dirmi di
quali prove si tratta, e non preoccuparti di altro." rispose Alf.
"La prima prova è
quella del braccio; la seconda è
quella della mente e la terza è
quella del cuore. Sono tutte terribili, e nessuna è meno difficile di un'altra. E non posso dirti nemmeno in cosa consistano: fa parte delle
regole."
"Sono pronto
ad affrontare qualsiasi
cosa: non ho
bisogno d'altro."
"Sei davvero disposto a
rischiare tutto quel che hai... per me?"
"Quando si
comincia?"
"Ti ripeto che il premio potrebbe non essere quello che speri, ammettendo che tu riesca a superare le
prove; sempre che tu possa pretenderne uno."
"E io ti ripeto che non
voglio sapere altro. Avanti!"
Nelle mani di Alf comparve una sciarpa di tessuto leggero come l'aria, la cui trama raffigurava il
cielo stellato.
"Quello è il mio segno,
Alf. Portalo con te."
"Dimmi solo come
ti chiami. E' l'unica
cosa che ancora ti chiedo."
"Il mio nome è Lys. Ora
parti, se lo vuoi."
"Cosa devo fare?"
"Sarà sufficiente che tu
attraversi la portafinestra, senza scostare le cortine. Esse ti
permetteranno di passare."
"Vado!"
"Aspetta... voglio
dirti... comunque vada... ricorda che ti
sarò vicina."
Alf si era già mosso, incamminandosi deciso verso la notte che credeva di trovare al di là.
Un soffio di vento più
forte gli avvolse le tende attorno
al corpo, e gli sembrò di essere sollevato e trasportato.
Chiuse
gli occhi per estraniarsi ulteriormente dal proprio mondo, e li riaprì sentendo
sotto i piedi una superficie solida.
Era sempre notte, ma
il cielo era... diverso. Non riusciva
a raccapezzarsi, tra quelle strane costellazioni. E vi rinunciò. Si concentrò
nell'osservazione del luogo
nel quale ora si
trovava.
Una radura erbosa, di forma
perfettamente circolare, del diametro di circa mezzo chilometro, circondata da
grandi alberi.
E fra gli alberi qualcuno, o
qualcosa, si stava avvicinando.
Alf percepiva i tonfi regolari di passi pesanti, ed uno strano clangore che gli permise
di formulare una plausibile
ipotesi sulla natura del primo
avversario. La "prova del
braccio". Una prova di forza
fisica. Chi avrebbe dovuto affrontare? Si
trovava in un posto avulso dalla realtà
quotidiana: un paese magico. Allora poteva
benissimo immaginare che
si trattasse di un
cavaliere in armatura.
E lui aveva addosso il solo
pigiama.
Ma... un momento.
Egli era uno
dei "cavalieri grigi",
no? Quindi...
"A me!" urlò con
quanto fiato aveva in gola.
All'istante l'armatura di
acciaio non lucidata lo ricoprì da capo a piedi.
Si legò al braccio destro la
sciarpa che Lys gli aveva dato, con
qualche difficoltà e mormorando quel dolce nome tra sé.
Subito una
stella d'argento splendente
gli comparve sulla corazza, proprio al centro del petto.
Sguainò la
spada, soffermandosi un
attimo a saggiarne
la leggerezza, il filo e il perfetto
bilanciamento, e ad ammirarne le
delicate incisioni sull'elsa, d'argento
come la stella, e sulla lama scintillante.
Non aveva lo scudo, ma
dubitava che ne avrebbe avuto bisogno.
Si piantò a gambe larghe
nel centro della radura, leggermente chinato in avanti, in attesa
dello scontro.
Sperò
solo che l'attesa non fosse
lunga ma, scorgendo i rami degli alberi che
si scostavano, seppe
che il problema
non sussisteva. Il suo nemico era giunto.
E che nemico!
Deglutì più volte, e dovette
reprimere a viva forza l'impulso di
voltare le spalle e darsela a gambe.
Sentì
il terrore puro, come se fosse
trasportato dal suo stesso sangue,
impregnare le cellule più remote del corpo. Un
terrore che paralizzava i centri
nervosi, trasformava i
muscoli in gelatina e impediva al
cervello di formulare qualsiasi pensiero tranne quello di fuggire, fuggire,
fuggire...
Il contendente si fermò ad
un metro di distanza da Alf e si pose i
pugni sui fianchi, in palese segno di sfida.
Era alto più di due metri, e
sembrava possedere una potentissima
struttura: una vera macchina da guerra.
Indossava anch'egli
un'armatura grigia, ma la stella
che recava sul petto era nera.
Squadrò Alf
per qualche secondo,
poi rovesciò il
capo all'indietro, mentre
una tonante risata riempiva
il silenzio notturno.
"E tu saresti il
cavaliere scelto da Lys. Mi meraviglio
di lei. Se non ha
potuto trovare di meglio vuol
dire che è
caduta veramente in basso." disse con voce dolce dal tono
irrisorio.
"Aspetta a parlare, rodomonte! Non
sai ancora con chi hai a che fare." ribatté Alf, sperando
di non dover dimostrare
proprio nulla. Quell'altro non poteva semplicemente lasciarlo
andare, giudicandolo talmente ridicolo da non valere la pena di battersi con lui?
"Lingua tagliente, eh?
Ascolta me, invece. Oggi mi sento buono, e perciò ti concedo una possibilità.
Lascia la spada e la sciarpa, e tornerai
nel tuo mondo. Senza altri obblighi."
"Se vuoi la spada e la
sciarpa, beh... vieni pure a
prendertele, se ci riesci." Alf si udì rispondere, allibito oltre
ogni dire. Il gigante estrasse la propria arma e attaccò senza più parlare. In
pochi secondi Alf si accorse
di due cose: l'armatura
era leggerissima e non lo impacciava nei
movimenti, al contrario di quanto
accadeva all'altro; i colpi del
cavaliere dalla stella nera erano
potenti e copiosi, ma imprecisi e lenti,
sì da poter essere scansati quasi senza difficoltà, avvalendosi della pura agilità.
Cercò di richiamare alla
mente le scarse nozioni di scherma che possedeva, ma capì di dover
improvvisare e affidarsi alla buona sorte. Dopo alcuni
minuti (veramente ad
Alf erano sembrati secoli) i duellanti si trovarono con
le spade incrociate, con gli occhi dell'uno
che scrutavano quelli dell'altro
a brevissima distanza, sia pure
attraverso la celata. Ambedue digrignavano i denti,
cercando di disimpegnare
le lame, quando
una voce squillante lacerò il
silenzio:
"SECONDA
PROVA!".
Alf si ritrovò in un buio
tunnel, illuminato solo
dalla fioca luce che fluiva dalla spada
che stringeva ancora in pugno.
Seguì il percorso tortuoso,
che lo portò infine in una vasta sala dalle pareti completamente ricoperte di
specchi.
Gli si
avvicinò una figura che
richiamava un monaco, completamente paludato di un saio
nero sul quale spiccava una piccola stella bianca all'altezza del
cuore.
"Felice notte a te,
cavaliere!" sussurrò, con voce armoniosa. Era una voce che non lasciava
scorgere alcun sentimento negativo, una voce che ispirava fiducia...
"Tu ti
sei impegnato a
salvare Lys, cavaliere." proseguì l'incappucciato "Ma sai
chi sia veramente Lys? Sai
se abbia proprio bisogno di
essere salvata? Sai cosa ti aspetta dopo le prove? Guarda, allora." aggiunse
indicando uno degli specchi. Alf guardò,
e scorse Lys tra le
braccia del cavaliere dalla stella nera. Le cose stavano dunque
così. Perché diavolo "quella
là" l'aveva attirato in una trappola
del genere? Per godersi la sua
paura di fronte a quel
borioso gigante, e magari vederlo crepare ai suoi piedi?
O solo per sperimentare la forza
del proprio fascino su di un
essere umano? Alf si
sentì morire dentro.
"Vedi?" disse la
nera figura "Capisci adesso?"
Certo che capiva: era così chiaro... oppure non era chiaro per niente. La prova della
mente in cosa consisteva, allora?
Per rispondersi sollevò la spada e la lasciò ricadere sullo specchio che gli stava di fronte. Questo, disintegrandosi in minutissimi frammenti luminosi,
scoprì dietro di
sé la radura del combattimento.
"Non farlo,
cavaliere!" lo ammonì la dolce voce
proveniente dal saio scuro "Chi ti
dice che quella che hai visto
non sia la realtà?"
Alf si bloccò per un attimo,
ma solo per un attimo.
"Non fa niente."
pensò "Le proprie decisioni vanno
seguite sino in fondo."
E si diede a spaccare tutti gli specchi
intorno a sé, fino a ritrovarsi
nella radura, mentre
la stessa voce
squillante annunciava:
"TERZA PROVA!"
Si sedette
sull'erba, cercando di
analizzare il proprio comportamento. Aveva poi fatto la
cosa giusta? Beh, se la prova era stata superata, evidentemente sì.
Ma c'era qualcosa che non
quadrava...
Lo sguardo, che teneva
abbassato, colse la lunga veste color
del cielo che gli si avvicinava fluttuando.
Alzò il capo, e si ritrovò a
fissare il viso di Lys.
"Devo avvisarti di
quello che succederà dopo, Alf." mormorò lei.
"Cosa mi resta da
fare?"
"Te ne accorgerai. Ma
devi sapere che non ci sarà alcun
premio per te."
"Questo me l'avevi già
prospettato."
"O meglio: ci potrebbe
essere, ma sono io stessa che ti prego
di rinunciarvi."
"Temo di aver capito.
Ma vorrei lo stesso che mi spiegassi..."
"Se vincerai potrai reclamarmi, ma
cambieresti solo il luogo della mia prigionia. Le fate sono esseri liberi: capisci quello che voglio dire?"
"Sì. Penso di sì. Se ti
costringessi a seguirmi, alla
fine ti consumeresti di malinconia, non
è vero?"
"E' vero.
Io non sono
umana. E per
quanto possa essermi affezionata a te in
quei pochi momenti
che abbiamo passato assieme, non mi sarebbe possibile
abbandonare la mia magia senza
morirne."
"Va bene. Sei libera.
Non chiederò un bel nulla. Ma
ora, ti prego, lasciami solo per
affrontare la terza prova. In fondo sono venuto qui per questo."
"La terza prova era
questa, Alf." e Lys svanì; solo la
sua voce galleggiò tristemente, ancora
qualche attimo nella mente di lui, prima
di dileguarsi...
Il sudore che gli scendeva
copioso dalla fronte lo rassicurò sul
fatto che non stava assolutamente sognando.
Era ancora lì, la
lama incrociata con quella
del gigantesco cavaliere, e lo
guardava attraverso la celata.
Con un gemito lo spinse via,
saltò all'indietro, e poi attaccò di nuovo, mosso da una furia che insospettabilmente sentiva adesso rifluire dentro le vene.
Colpì di punta
e di taglio,
roteando l'arma in
una danza frenetica, mentre le
parate dell'avversario si facevano
via via più fiacche.
Quando la spada dell'altro
volò lontano, ormai inutile, gli pose la
propria alla gola.
"Hai perso!" disse "Ma, fortunatamente, anch'io oggi mi
sento buono."
E spezzò la propria lama sul
ginocchio.
In un lampo abbagliante la radura,
gli alberi, il cavaliere, tutto scomparve.
Il vento gonfiava
ancora le candide cortine, ma adesso era
più dolce.
Alf gonfiò il petto in un
sospiro triste e sollevato nello stesso tempo.
Beh, in fin dei conti ce
l'aveva fatta.
"Lei" adesso era
libera. Cosa importava il resto?
E anche se importava non
poteva farci niente.
Aveva
fatto quanto ci si aspettava da lui, e l'aveva fatto bene.
FRYLL
Fryll sollevò pigramente la
palpebra sinistra.
La richiuse.
Sollevò quella
destra; pensò di
aver dormito abbastanza
e spalancò gli occhioni di un blu profondo.
La maestosa siamese
si produsse in un
vigoroso sbadiglio e cominciò solennemente a stiracchiarsi, affilandosi nel contempo le unghie sulla sedia impagliata,
sulla quale era posato il suo cuscino preferito.
Annusò
l'aria: troppo presto per la cena. Aveva tutto il tempo di pensare alla pulizia
personale. Alf meritava di vederla sempre al massimo dello splendore.
Veramente una gatta non
pensa al suo padrone chiamandolo
per nome, ma Fryll era una gatta specialissima.
Alf se l'era trovata per
casa una mattina di dicembre. Era stato
svegliato dalle sue fusa nell'orecchio. Destatosi di soprassalto, aveva
guardato quella gatta con un misto di
gioia e terrore: da dove era piovuta? Ma
l'amore per gli animali aveva prevalso sulle domande, e Alf
era stato ben
contento di avere
un po’ di compagnia... femminile, se vogliamo.
Aveva sorvolato
sulle mille stranezze
di cui Fryll
pareva imbevuta. Quel modo
di guardarlo, a volte, con
fare quasi... lascivo? Oh, per
carità! Ma la sensazione
era quella. Quel saltargli addosso proprio
mentre si abbandonava
ai ricordi, costringendolo a giocare... sembrava sapesse sempre quando
lui stava male. E dormiva sulla sedia solo
quando Alf non era in casa, altrimenti non si staccava
mai da lui, se non il
tempo necessario per mangiare, bere e... sì, insomma.
Le orecchie le si rizzarono,
cogliendo il passo di Alf prima che
aprisse la porta. Sicché egli, quando
entrò, se la ritrovò come al
solito tra i piedi,
che gli miagolava tutta la
gioia di vederlo.
La mascherina di
Fryll parve divenire
ancora più nera,
le vibrisse si rizzarono verso l'alto e il musetto scoprì le piccole
(ma temibili) zanne
mentre osservava il
mostriciattolo appollaiato sulla spalla sinistra di Alf.
Era una figuretta avviluppata in un
mantello nero, saldamente
incollata a quel largo promontorio.
Fryll aveva visto molte
volte le fate (anche Alf
ci credeva ciecamente) spuntare
all'improvviso dalle finestre, e ritirarsi in fretta e furia davanti a quella
oscura presenza.
Aveva già provato un paio
di volte ad attaccare il mostro, ma i suoi
denti si erano chiusi
sull'aria. Quell'essere era incorporeo. Evidentemente
non era la
maniera giusta per combatterlo. Ma prima o poi...
La gatta accettò le carezze
di buon grado; solo la coda continuò a
sferzare il pavimento, tradendone l'estrema concentrazione. Decise di pensare
solo alla cena,
per il momento.
Inutile continuare a scervellarsi... magari la risposta sarebbe venuta
da sola.
Mentre lambiva il latte
dalla scodella, con la coda dell'occhio colse Alf che, come tutte le sere, si guardava penosamente allo specchio, come se attendesse qualcosa, o
qualcuno.
La differenza le colpì
i sensi: la cosa nera non si
rifletteva nello specchio,
ovviamente, ma contemporaneamente
appariva più reale, più solida...
La verità
si fece strada
in un lampo:
per mantenere l'invisibilità, in
quelle occasioni, il mostro aveva
bisogno di tutte le sue forze, e
quindi...
Prima di aver terminato il
pensiero, Fryll era già scattata.
In due lunghi balzi volò su
una sedia e poi sull'armadio, e di lì si tuffò,
centrando lo specchio
con le zampe
posteriori e usandolo come trampolino
per saltare verso
Alf, che rimase impietrito con gli occhi sbarrati.
Saettò a qualche millimetro
dal suo viso, e passando afferrò al volo quel lurido essere; atterrò sul pavimento, mentre le
sue mascelle stringevano con
forza e sentivano minuscoli
ossicini frantumarsi, finché tutto finì in una nuvoletta di fumo.
Fryll
starnutì una dozzina di volte, e con la zampina si deterse coscienziosamente il musetto, e continuò anche quando Alf (che
non poteva aver capito nulla di
quanto era accaduto) la prese in braccio e andò a sedersi sulla poltrona.
Ora si era addormentato e la
gatta, cullata dal movimento del suo stomaco, si accingeva ad imitarlo.
Era molto tranquilla. Adesso
le fate potevano tornare a visitare Alf
senza tema di brutti incontri.
Una folgorazione
improvvisa la costrinse tuttavia a
rialzarsi, mentre i baffi le spiovevano in una smorfia di dubbio e delusione
insieme: aveva agito bene? Cioè: per
Alf sarebbe stato un bene avere la
possibilità di rincontrare
una fata? O non
sarebbe stato piuttosto un male?
Lei aveva comunque
seguito il proprio istinto, e
si sa che l'istinto, di solito, non sbaglia.
Fryll si acciambellò,
infilando la testa sotto le
zampine e accantonando ogni altra
domanda.
Aveva fatto il suo. Al resto
ci avrebbe pensato qualcun altro... o
qualcun'altra.
Mentre
si lasciava prendere dal sonno, stirò involontariamente i labbri in quello che, per un felino, era forse l'equivalente di un sorriso.