L Y S

 

 

 

POTREBBE ANCHE CAPITARE...

 

 

"Mi scusi, signore... signore?"

L'ultima cosa che mi aspettavo,  mentre cercavo convulsamente  di aprire la  stramaledetta  portiera della  mia  stramaledettissima auto, era sentirmi interpellare da una voce argentina che  poteva provenire solo da una giovane donna.

Sorpreso, alzai lo sguardo: e fu  peggio, perché quello che  vidi bastò a paralizzarmi.

Quella era sicuramente  la più  bella sconosciuta  che fosse  mai capitata nei miei paraggi.

Altissima, roba da non  crederci; quasi quanto  me, che non  sono certo un nano. Un caschetto di  capelli castani che  incorniciava un ovale delizioso, impreziosito da due  occhi talmente grandi  e profondi che... Irritato con me stesso, richiusi di  scatto la bocca,  rendendomi conto che la tenevo aperta già da un po’.

"Signore? Si sente bene?"

"Sì, sì, benissimo.  Mi scusi, ma...  sa... non sono  abituato... beh, insomma, cosa desidera?"

"Volevo semplicemente chiederle dove  potrei trovare un  albergo. Sono appena  arrivata  in  questa  città,  che  tra  l'altro  non conosco... lei è  la prima persona  che incontro... sarebbe  così gentile?"

Sull'istante non colsi un'evidente stranezza: quella ragazza  non portava alcun bagaglio.

Ma ero  talmente imbambolato  che il  particolare mi  tornò  alla mente solo più tardi.

Riuscii comunque, lottando per tenere a  posto la mandibola,  che tendeva ancora ad abbassarsi, a mormorare un impacciato: "Certo... certo... mi lasci pensare..."

Ma più la guardavo e meno  riuscivo a connettere. Per cui  cercai di concentrarmi  sul mazzo  di  chiavi che  avevo  in mano  e  le chiesi:

"Dunque, questa città è piena di alberghi. Quanto vuole... o  può spendere?"

E la guardai ancora in viso.

Ancora oggi non so  spiegarmi il perché,  senza attendere la  sua risposta, mi ritrovai ad aggiungere, abbassando gli occhi: "Senta, quanto tempo deve fermarsi qui?"

"Veramente non lo so... dipende..."

"Allora... non mi fraintenda,  la prego. Se  vuole, io... ho  una casa molto  grande...  in  pratica  ci  vivo  da  solo...  potrei ospitarla... senza secondi fini, s'intende..."

E mi fermai, perché altrimenti avrei senz'altro aggiunto:

"Ti prego, non dirmi di no."

La guardai ancora, sicuro che ora mi avrebbe mandato a quel paese molto più velocemente di quanto ci avessi messo io ad esprimere i miei stentati concetti.

Lei, invece, mi sorrise dolcemente e si limitò ad annuire.

Con estrema  naturalezza  si  portò  dall'altro  lato  della  mia vettura: mi ci  vollero alcuni  minuti per  realizzare che  aveva accettato.

Mi sedetti al posto di guida e aprii la portiera dal suo lato. Mi sentivo galleggiare su di una nuvola.

Non parlammo più, durante il tragitto fino a casa mia.

La guidai  attraverso  le  varie  stanze,  fermandomi  nella  mia camera-studio: mi parve particolarmente (stranamente) interessata alle varie opere di genere fantasy presenti nella mia libreria. Non fece commenti, che io ricordi.

Poi le indicai,  nel salone, il  letto richiudibile dove  avrebbe potuto sistemarsi per la notte.

Dovetti deglutire per la sorpresa quando,  come se niente  fosse, osservò:

"Il tuo letto è matrimoniale. Perché vorresti farmi dormire  qui, da sola?"

Sbalordito, risposi:

"Ma, ti assicuro  che non ho  mai, neanche lontanamente,  pensato che..."

"Lo so che non ci  hai pensato. Ti  vergogneresti di dormire  con me?"

"No, assolutamente. Però..."

"Stai tranquillo, non ti salterò addosso."

"Non è quello. Sai... non ci sono più abituato... mi sembra tutto così strano... e poi... sei così bella..."

"Questo cosa c'entra?"

"Niente. Mi è venuto così. Comunque...  se sei sicura che non  ti darebbe fastidio..."

"Sciocco. Se te l'ho chiesto io..."

"Già... già! Vogliamo cenare?"

Cenammo: anzi, cenai, perché lei guardava solamente. Più che  non aver fame, sembrava che  non avesse alcun  bisogno di cibo...  ma anche questo lo ricordai solo in seguito.

Dopo, insistetti per vedere un film in televisione, e quando finì cominciai a mostrarle i miei dischi, le mie fotografie... insomma cercavo in tutti i modi di rimandare il momento in cui si sarebbe pur dovuto dormire.

Lei non diede segno di accorgersi della mia crescente ansia. Infine, a notte fonda, le dissi:

"Okay, adesso  sarà veramente  meglio  andare a  letto...  scusa: volevo dire... a dormire."

Lei sorrise ancora (ricorderò quel sorriso  finché avrò vita)  e, senza parlare, mi abbracciò.

Mi risvegliai con la netta sensazione che quello sarebbe stato il più bel giorno della mia vita, ma già mentre spostavo il  braccio di fianco a  me, senza trovare  il suo corpo,  seppi che  sarebbe invece stato il giorno più brutto.

Non volli aprire gli occhi, per evitare l'orrendo impatto con  la triste realtà.

Strinsi forte le palpebre, e un  Morfeo pietoso mi fece  ricadere in un sonno profondo.

La voce di Alex, che bussava alla mia porta, mi resuscitò.

Andai ad aprigli  con movenze da  sonnambulo, o  almeno penso  di avergli dato quell'impressione, dato che appena entrato: "Sveglia!" disse "Sempre in coma profondo,  eh? Abbiamo fatto  le ore piccole?  Va  bene che  oggi  è Domenica,  ma  è  mezzogiorno passato."

Buttarlo fuori di casa su due  piedi non sarebbe certo servito  a farmi sentire meglio, per cui mi  diressi in bagno e lasciai  che l'acqua fredda  mi riportasse  lentamente  alla vita,  quale  che fosse.

Trovai Alex  con in  mano un  libro  che avevo  comprato  qualche giorno prima, e che non avevo ancora letto.

Lui si girò verso di me:

"Ancora libri di fantasy?  Non cambierai mai!  Ma, in fondo,  sai che ti dico? Beato te che credi ancora alle fate!"

Fu un attimo.

Gli strappai il libro dalle mani e, già immaginando quello che ci avrei trovato, gettai uno sguardo alla copertina illustrata,  che rappresentava alcune fate svolazzanti tra fiori giganteschi.

E non mi ero sbagliato, purtroppo!

Il volto di una di quelle  fate era quello che tanto avevo  amato nelle poche ore passate con Lei.

Devo essere  rimasto  impietrito  a  lungo,  perché  confusamente sentivo Alex ripetermi:

"Alf! Cosa  ti  prende?" "Alf,  rispondimi!"  "Stai  bene,  Alf?" "Alf... Alf!!!"

 

 

 

 

LYS

 

 

Si chiese, per l'ennesima volta, quando fosse cominciato.

Quella voce  che  ormai lo  perseguitava  in  ogni  minuto  della giornata, negli  ultimi  tempi era  divenuta  così  insistente  e pressante da impedirgli di concentrarsi su qualsiasi cosa. Benché  adoperasse  tutta  la  sua  volontà  nel  non   ascoltare quell'angosciante richiesta di  aiuto, la sua  vita ne era  stata completamente sconvolta.

La cosa diventava straziante alla fine della giornata di  lavoro: nel momento  in cui  si sarebbe  potuto rilassare,  si  ritrovava invece  a  dover  prestare  orecchio  a  quelle  parole  che   si infiltravano in tutte le regioni del cervello, senza scampo.

A tutta prima non era riuscito a decifrare i messaggi: udiva  una cantilena di sillabe slegate, che solo dopo alcuni giorni avevano iniziato ad assumere un senso compiuto.

Quello che l'aveva  colpito sin dal  primo istante  era stata  la voce. Calda, profonda, carezzevole, quasi... e a questo punto  si fermava: semplicemente  non  esisteva aggettivo  che  la  potesse definire.

Una sola cosa era certa.

Chiunque stesse  inviando  quei messaggi  si  trovava in  un  bel pasticcio.

Quella notte sapeva già che non avrebbe dormito. Durante tutto il giorno la voce si era fatta sentire evidenziando un'ansia ed  una sofferenza insopportabili, spingendolo a fare qualcosa, qualsiasi cosa.

E  come  volentieri   l'avrebbe  fatta,  pur   di  liberarsi   da quell'incubo.

NO.

In fondo non poteva definirlo tale.

Quei suoni gli avevano tenuto compagnia, per quanto imbarazzante, come mai gli era successo prima di allora. O meglio... forse  una volta... ma era così lontano nel tempo...

Un  particolare  l'aveva   trattenuto  dal   rivolgersi  ad uno strizzacervelli: quella voce apparteneva indiscutibilmente ad una donna.

Gettò da una parte le coperte. Aspettava che succedesse  qualcosa di nuovo. Quella era la notte giusta: una leggera brezza gonfiava le bianche  tende della  grande portafinestra  lasciando  meglio filtrare, nella penombra della stanza, i raggi lunari. Tutto  era perfetto.

E qualcosa successe.

All'improvviso il flusso di parole che gli turbinava nella  mente s'interruppe di colpo.

Sorpreso, si rizzò a sedere sul letto. E adesso?

Una nebbiolina bianca iniziò a formarsi ai suoi piedi.

Alf spalancò gli occhi.

La nebbia  vorticò ancora  qualche istante,  per poi  assumere  i contorni di un viso femminile, impalpabile e trasparente, ma  del quale  era   impossibile   non   cogliere   l'estrema   bellezza, delicatezza e dolcezza assieme. A chi apparteneva quel volto? Alf aveva la netta sensazione di saperlo... ma non riusciva a mettere a fuoco... eppure la conosceva...

Il ricordo gli balzò addosso, con forza talmente brutale da farlo vacillare, come una tremenda mazzata sulla fronte.

LA FATA!

LA SUA FATA PERDUTA!

Non badò al suo cuore, impegnato  in una serie di salti  mortali, ma visse  solo  per  sentire  ciò  che  quelle  labbra  avrebbero pronunciato.

Ed ella parlò.

Gli raccontò  del castello,  nel  quale si  trovava  prigioniera, rapita durante il transito dal mondo  reale a quello fatato.  Gli spiegò di averlo dovuto abbandonare, "quella" notte, in virtù  di forze superiori alle  quali non aveva  potuto opporsi. Gli  narrò delle sue spaventose condizioni attuali. Lo supplicò di aiutarla, benché non  potesse  promettergli nulla  in  cambio,  neppure  sé stessa. Gli confidò che le sarebbe piaciuto poter restare  ancora con lui.

Ad Alf non serviva altro!

Si alzò, sentendosi più forte che  mai, e le chiese cosa  avrebbe dovuto fare per salvarla.

La risposta non si fece attendere.

"Dovresti affrontare tre  prove... ma io  non ho  il coraggio  di chiederti tanto... di osare tanto per me." disse la fata.

"Tu pensa a dirmi di quali prove si tratta, e non preoccuparti di altro." rispose Alf.

"La prima prova è quella del  braccio; la seconda è quella  della mente e la  terza è  quella del  cuore. Sono  tutte terribili,  e nessuna è meno difficile di un'altra.  E non posso dirti  nemmeno in cosa consistano: fa parte delle regole."

"Sono  pronto  ad  affrontare  qualsiasi  cosa:  non  ho  bisogno d'altro."

"Sei davvero disposto a rischiare tutto quel che hai... per me?"

"Quando si comincia?"

"Ti ripeto che il  premio potrebbe non  essere quello che  speri, ammettendo che tu riesca a superare le prove; sempre che tu possa pretenderne uno."

"E io ti ripeto che non voglio sapere altro. Avanti!"

Nelle mani di Alf  comparve una sciarpa  di tessuto leggero  come l'aria, la cui trama raffigurava il cielo stellato.

"Quello è il mio segno, Alf. Portalo con te."

"Dimmi   solo come  ti  chiami. E'  l'unica  cosa che  ancora  ti chiedo."

"Il mio nome è Lys. Ora parti, se lo vuoi."

"Cosa devo fare?"

"Sarà sufficiente  che  tu attraversi  la  portafinestra,  senza scostare le cortine. Esse ti permetteranno di passare."

"Vado!"

"Aspetta... voglio dirti... comunque vada... ricorda che ti  sarò vicina."

Alf si era già  mosso, incamminandosi deciso  verso la notte  che credeva di trovare al di là.

Un soffio di  vento più  forte gli  avvolse le  tende attorno  al corpo, e gli sembrò di essere sollevato e trasportato.

Chiuse gli occhi per estraniarsi ulteriormente dal proprio mondo, e li riaprì sentendo sotto i piedi una superficie solida.

Era sempre  notte, ma  il cielo  era... diverso.  Non riusciva  a raccapezzarsi, tra quelle strane costellazioni. E vi rinunciò. Si  concentrò  nell'osservazione  del  luogo  nel  quale  ora  si trovava.

Una radura erbosa, di forma perfettamente circolare, del diametro di circa mezzo chilometro, circondata da grandi alberi.

E fra gli alberi qualcuno, o qualcosa, si stava avvicinando.

Alf percepiva i tonfi  regolari di passi  pesanti, ed uno  strano clangore che  gli permise  di  formulare una  plausibile  ipotesi sulla natura del  primo avversario. La  "prova del braccio".  Una prova di forza fisica. Chi avrebbe dovuto affrontare? Si  trovava in un  posto avulso  dalla realtà  quotidiana: un  paese  magico. Allora  poteva  benissimo  immaginare  che  si  trattasse  di  un cavaliere in armatura.

E lui aveva addosso il solo pigiama.

Ma... un  momento.  Egli  era  uno  dei  "cavalieri  grigi",  no? Quindi...

"A me!" urlò con quanto fiato aveva in gola.

All'istante l'armatura di acciaio non lucidata lo ricoprì da capo a piedi.

Si legò al braccio destro la sciarpa che Lys gli aveva dato,  con qualche difficoltà e mormorando quel dolce nome tra sé.

Subito  una  stella  d'argento  splendente  gli  comparve   sulla corazza, proprio al centro del petto.

Sguainò  la  spada,  soffermandosi  un  attimo  a  saggiarne   la leggerezza, il filo e il perfetto  bilanciamento, e ad  ammirarne le delicate  incisioni sull'elsa,  d'argento  come la  stella,  e sulla lama scintillante.

Non aveva lo scudo, ma dubitava che ne avrebbe avuto bisogno.

Si piantò a  gambe larghe  nel centro  della radura,  leggermente chinato in avanti, in attesa dello scontro.

Sperò solo  che l'attesa  non fosse  lunga ma,  scorgendo i  rami degli alberi  che  si  scostavano,  seppe  che  il  problema  non sussisteva. Il suo nemico era giunto.

E che nemico!

Deglutì più volte, e dovette reprimere a viva forza l'impulso  di voltare le spalle e darsela a gambe.

Sentì il terrore puro, come se  fosse trasportato dal suo  stesso sangue, impregnare le  cellule più remote  del corpo. Un  terrore che paralizzava  i  centri  nervosi,  trasformava  i  muscoli  in gelatina e impediva al cervello  di formulare qualsiasi  pensiero tranne quello di fuggire, fuggire, fuggire...

Il contendente si fermò ad un metro di distanza da Alf e si  pose i pugni sui fianchi, in palese segno di sfida.

Era alto più di due metri, e sembrava possedere una  potentissima struttura: una vera macchina da guerra.

Indossava anch'egli un'armatura grigia, ma  la stella che  recava sul petto era nera.

Squadrò  Alf   per  qualche   secondo,  poi   rovesciò  il   capo all'indietro, mentre  una  tonante risata  riempiva  il  silenzio notturno.

"E tu saresti il cavaliere scelto  da Lys. Mi meraviglio di  lei. Se non  ha  potuto trovare  di  meglio vuol  dire  che  è  caduta veramente in basso." disse con voce dolce dal tono irrisorio.

 "Aspetta a parlare, rodomonte! Non sai  ancora con chi hai a  che fare." ribatté  Alf, sperando  di  non dover  dimostrare  proprio nulla. Quell'altro  non  poteva semplicemente  lasciarlo  andare, giudicandolo talmente ridicolo da non valere la pena di  battersi con lui?

"Lingua tagliente, eh? Ascolta me, invece. Oggi mi sento buono, e perciò ti concedo una possibilità. Lascia la spada e la  sciarpa, e tornerai nel tuo mondo. Senza altri obblighi."

"Se vuoi la spada e la sciarpa, beh... vieni pure a  prendertele, se ci riesci." Alf si udì rispondere, allibito oltre ogni dire. Il gigante estrasse la propria arma e attaccò senza più parlare. In pochi  secondi Alf  si accorse  di  due cose:  l'armatura  era leggerissima e non lo impacciava nei  movimenti, al contrario  di quanto accadeva  all'altro; i  colpi del  cavaliere dalla  stella nera erano potenti e copiosi, ma  imprecisi e lenti, sì da  poter essere scansati quasi  senza difficoltà,  avvalendosi della  pura agilità.

Cercò di richiamare alla mente le  scarse nozioni di scherma  che possedeva, ma capì di dover improvvisare  e affidarsi alla  buona sorte. Dopo  alcuni  minuti  (veramente  ad  Alf  erano  sembrati secoli) i duellanti si trovarono con le spade incrociate, con gli occhi dell'uno  che  scrutavano quelli  dell'altro  a  brevissima distanza, sia pure attraverso la  celata. Ambedue digrignavano  i denti,  cercando  di  disimpegnare  le  lame,  quando  una   voce squillante lacerò il silenzio:

"SECONDA PROVA!".

Alf si ritrovò  in un buio  tunnel, illuminato  solo dalla  fioca luce che fluiva dalla spada che stringeva ancora in pugno.

Seguì il percorso tortuoso, che lo portò infine in una vasta sala dalle pareti completamente ricoperte di specchi.

Gli  si   avvicinò  una   figura che  richiamava   un   monaco, completamente paludato di  un saio  nero sul  quale spiccava  una piccola stella bianca all'altezza del cuore.

"Felice notte a te, cavaliere!" sussurrò, con voce armoniosa. Era una voce che non lasciava scorgere alcun sentimento negativo, una voce che ispirava fiducia...

"Tu  ti  sei  impegnato  a  salvare  Lys,  cavaliere."   proseguì l'incappucciato "Ma  sai  chi sia  veramente  Lys? Sai  se  abbia proprio bisogno di essere  salvata? Sai cosa  ti aspetta dopo  le prove? Guarda, allora." aggiunse indicando uno degli specchi. Alf guardò,  e scorse  Lys tra  le  braccia del  cavaliere  dalla stella nera. Le cose stavano dunque così. Perché diavolo  "quella là" l'aveva attirato in una trappola  del genere? Per godersi  la sua paura  di fronte  a quel  borioso gigante,  e magari  vederlo crepare ai  suoi piedi?  O solo  per  sperimentare la  forza  del proprio fascino  su  di un  essere  umano? Alf  si  sentì  morire dentro.

"Vedi?" disse la nera figura "Capisci adesso?"

Certo che capiva: era  così chiaro... oppure  non era chiaro  per niente. La  prova della  mente in  cosa consisteva,  allora?  Per rispondersi sollevò la spada e la lasciò ricadere sullo  specchio che gli stava di fronte.  Questo, disintegrandosi in  minutissimi frammenti  luminosi,   scoprì  dietro   di     la  radura del combattimento.

"Non farlo, cavaliere!" lo ammonì la  dolce voce proveniente  dal saio scuro  "Chi ti  dice che  quella che  hai visto  non sia  la realtà?"

Alf si bloccò per un attimo, ma solo per un attimo.

"Non fa niente." pensò "Le proprie  decisioni vanno seguite  sino in fondo."

E si diede  a spaccare tutti  gli specchi  intorno a  sé, fino  a ritrovarsi  nella  radura,  mentre  la  stessa  voce  squillante annunciava:

"TERZA PROVA!"

Si  sedette  sull'erba,   cercando  di   analizzare  il   proprio comportamento. Aveva poi fatto la cosa  giusta? Beh, se la  prova era stata superata, evidentemente sì.

Ma c'era qualcosa che non quadrava...

Lo sguardo, che teneva abbassato, colse la lunga veste color  del cielo che gli si avvicinava fluttuando.

Alzò il capo, e si ritrovò a fissare il viso di Lys.

"Devo avvisarti di quello che succederà dopo, Alf." mormorò lei.

"Cosa mi resta da fare?"

"Te ne accorgerai. Ma devi  sapere che non  ci sarà alcun  premio per te."

"Questo me l'avevi già prospettato."

"O meglio: ci potrebbe essere, ma sono io stessa che ti prego  di rinunciarvi."

"Temo di aver capito. Ma vorrei lo stesso che mi spiegassi..."

"Se vincerai  potrai reclamarmi,  ma  cambieresti solo  il  luogo della mia prigionia. Le fate sono  esseri liberi: capisci  quello che voglio dire?"

"Sì. Penso di  sì. Se ti  costringessi a seguirmi,  alla fine  ti consumeresti di malinconia, non è vero?"

"E'  vero.  Io  non  sono  umana.  E  per  quanto  possa  essermi affezionata a  te  in quei  pochi  momenti  che  abbiamo  passato assieme, non mi sarebbe possibile abbandonare la mia magia  senza morirne."

"Va bene.  Sei libera.  Non chiederò  un bel  nulla. Ma  ora,  ti prego, lasciami solo per affrontare la terza prova. In fondo sono venuto qui per questo."

"La terza prova era questa, Alf."  e Lys svanì; solo la sua  voce galleggiò tristemente, ancora qualche attimo nella mente di  lui, prima di dileguarsi...

Il sudore che gli scendeva copioso dalla fronte lo rassicurò  sul fatto che non stava assolutamente sognando.

Era ancora  lì,  la lama  incrociata  con quella  del  gigantesco cavaliere, e lo guardava attraverso la celata.

Con un gemito lo spinse via, saltò all'indietro, e poi attaccò di nuovo, mosso da una furia  che insospettabilmente sentiva  adesso rifluire dentro le vene.

Colpì di  punta  e  di  taglio,  roteando  l'arma  in  una  danza frenetica, mentre le parate dell'avversario  si facevano via  via più fiacche.

Quando la spada dell'altro volò lontano, ormai inutile, gli  pose la propria alla gola.

"Hai perso!"  disse "Ma,  fortunatamente, anch'io  oggi mi  sento buono."

E spezzò la propria lama sul ginocchio.

In un  lampo abbagliante  la radura,  gli alberi,  il  cavaliere, tutto scomparve.

Il vento gonfiava ancora  le candide cortine,  ma adesso era  più dolce.

Alf gonfiò il petto in un sospiro triste e sollevato nello stesso tempo.

Beh, in fin dei conti ce l'aveva fatta.

"Lei" adesso era libera. Cosa importava il resto?

E anche se importava non poteva farci niente.

Aveva fatto quanto ci si aspettava da lui, e l'aveva fatto bene.

 

 

FRYLL

 

 

Fryll sollevò pigramente la palpebra sinistra.

La richiuse.

Sollevò  quella  destra;  pensò  di  aver  dormito  abbastanza  e spalancò gli occhioni di un blu profondo.

La maestosa  siamese  si produsse  in  un  vigoroso  sbadiglio  e cominciò solennemente a  stiracchiarsi, affilandosi nel  contempo le unghie sulla sedia impagliata, sulla  quale era posato il  suo cuscino preferito.

Annusò l'aria: troppo presto per la cena. Aveva tutto il tempo di pensare alla pulizia personale. Alf meritava di vederla sempre al massimo dello splendore.

Veramente una  gatta non  pensa al  suo padrone  chiamandolo  per nome, ma Fryll era una gatta specialissima.

Alf se l'era trovata per casa una mattina di dicembre. Era  stato svegliato dalle sue fusa nell'orecchio. Destatosi di soprassalto, aveva guardato quella gatta con un  misto di gioia e terrore:  da dove era piovuta? Ma l'amore per gli animali aveva prevalso sulle domande, e  Alf  era  stato  ben  contento  di  avere  un  po’  di compagnia... femminile, se vogliamo.

Aveva  sorvolato  sulle  mille  stranezze  di  cui  Fryll  pareva imbevuta. Quel  modo di  guardarlo, a  volte, con  fare  quasi... lascivo? Oh,  per  carità! Ma  la  sensazione  era  quella.  Quel saltargli addosso  proprio  mentre  si  abbandonava  ai  ricordi, costringendolo a giocare...  sembrava sapesse  sempre quando  lui stava male. E  dormiva sulla  sedia solo  quando Alf  non era  in casa, altrimenti non  si staccava  mai da  lui, se  non il  tempo necessario per mangiare, bere e... sì, insomma.

Le orecchie le si rizzarono, cogliendo il passo di Alf prima  che aprisse la porta. Sicché egli, quando  entrò, se la ritrovò  come al solito  tra i  piedi,  che gli  miagolava  tutta la  gioia  di vederlo.

La mascherina  di  Fryll  parve  divenire  ancora  più  nera,  le vibrisse si rizzarono verso l'alto e il musetto scoprì le piccole (ma  temibili)   zanne   mentre   osservava   il   mostriciattolo appollaiato sulla spalla sinistra di Alf.

Era una  figuretta avviluppata  in un  mantello nero,  saldamente incollata a quel largo promontorio.

Fryll aveva  visto molte  volte le  fate  (anche Alf  ci  credeva ciecamente) spuntare all'improvviso  dalle finestre, e  ritirarsi in fretta e furia davanti a quella oscura presenza.

Aveva già provato un paio di  volte ad attaccare il mostro, ma  i suoi  denti   si  erano chiusi  sull'aria.   Quell'essere   era incorporeo.  Evidentemente  non   era  la   maniera  giusta   per combatterlo. Ma prima o poi...

La gatta accettò le carezze di buon grado; solo la coda  continuò a sferzare il pavimento, tradendone l'estrema concentrazione. Decise di  pensare  solo  alla  cena,  per  il  momento.  Inutile continuare a scervellarsi... magari la risposta sarebbe venuta da sola.

Mentre lambiva il latte dalla scodella,  con la coda  dell'occhio colse Alf che, come tutte le  sere, si guardava penosamente  allo specchio, come se attendesse qualcosa, o qualcuno.

La differenza le colpì i  sensi: la cosa  nera non si  rifletteva nello specchio,  ovviamente, ma  contemporaneamente appariva  più reale, più solida...

La  verità   si  fece   strada  in   un  lampo:   per   mantenere l'invisibilità, in quelle occasioni, il  mostro aveva bisogno  di tutte le sue forze, e quindi...

Prima di aver terminato il pensiero, Fryll era già scattata.

In due lunghi balzi volò su una sedia e poi sull'armadio, e di lì si tuffò,  centrando  lo  specchio  con  le  zampe  posteriori  e usandolo come  trampolino  per  saltare  verso  Alf,  che  rimase impietrito con gli occhi sbarrati.

Saettò a qualche millimetro dal suo  viso, e passando afferrò  al volo quel lurido  essere; atterrò  sul pavimento,  mentre le  sue mascelle stringevano  con forza  e sentivano  minuscoli  ossicini frantumarsi, finché tutto finì in una nuvoletta di fumo.

Fryll starnutì una dozzina di volte, e con la zampina si  deterse coscienziosamente il  musetto, e continuò anche quando  Alf (che  non poteva  aver capito nulla di quanto era accaduto) la prese in braccio e andò a sedersi sulla poltrona.

Ora si era addormentato e la gatta, cullata dal movimento del suo stomaco, si accingeva ad imitarlo.

Era molto tranquilla. Adesso le fate potevano tornare a  visitare Alf senza tema di brutti incontri.

Una folgorazione improvvisa  la costrinse  tuttavia a  rialzarsi, mentre i baffi le spiovevano in una smorfia di dubbio e delusione insieme: aveva agito bene?  Cioè: per Alf  sarebbe stato un  bene avere la  possibilità di  rincontrare una  fata? O  non  sarebbe stato piuttosto un male?

Lei aveva  comunque  seguito il  proprio  istinto, e  si  sa  che l'istinto, di solito, non sbaglia.

Fryll si  acciambellò,  infilando la  testa  sotto le  zampine  e accantonando ogni altra domanda.

Aveva fatto il suo. Al resto ci avrebbe pensato qualcun  altro... o qualcun'altra.

Mentre si lasciava prendere dal sonno, stirò involontariamente  i labbri in quello che, per un  felino, era forse l'equivalente  di un sorriso.