IL LAGO

 

Era lì  sulla  riva già  da  un'ora, ma  loro  non  erano  ancora comparse; d'altronde,  la  pazienza era  sempre  stata  la  virtù maggiormente sviluppata in lui.

E non poteva  essere altrimenti, costretto  come era stato,  dalla vita, all'eterna attesa di qualcosa che non era mai arrivato.

Adesso no, però. Adesso era felice.

Con i risparmi di tutta una vita aveva acquistato quel  minuscolo chalet, dopo averne scorso solo il  depliant. La vista sul  lago, se così  si poteva  definire quel  piccolo specchio  d'acqua,  lo aveva indotto a trascurare altre proposte.

"Amore  a   prima   vista!"  aveva   sentenziato   il direttore dell'agenzia immobiliare.

Dopo essersi trasferito in quella stretta vallata, aveva  persino venduto l'auto: si  recava in bici,  o addirittura  a piedi,  per acquistare il poco che gli serviva nel vicino paese.

Fra quelle quattro pareti di caldo  legno si era sentito, per  la prima volta, se non felice,  almeno sereno; il  che era una  nota estremamente positiva.

Amava pensare a  sé stesso come  ad un cavaliere  grigio, di  cui nessuno ricorda nemmeno il nome. Era passato nel mondo senza  che questi se ne  accorgesse. Aveva sempre  saputo che avrebbe  amato infinite volte, senza poter smettere e  che, quindi, non  sarebbe mai stato amato. La sua esistenza  era trascorsa in questo  modo, lentamente, nell'invariabile grigiore.  Oh, certo.  Le sue  buone qualità gli erano  state, talvolta, riconosciute:  ma nessuno  si era seriamente interessato a lui.

Ora tutto questo non importava più,  dalla sera in cui, uscito  per la solita passeggiata sino al lago, aveva udito quel canto. Un’armonia di voci  dolcissime e tristissime.  Un coro  femminile che straziava  il cuore  e l'anima,  e che  l'aveva irrigidito  e incatenato, per  sempre,  a quel  luogo.  Quando era  riuscito  a riprendersi si  era  avvicinato alla  riva,  mentre il  canto  si spandeva nella luce incerta del giorno morente, e le aveva viste. Aveva frugato  un attimo  nella memoria,  prima di  ripescare  la probabile natura di  quelle creature: "Le  Ondine". Dovevano  per forza essere quelle.  Tutte uguali:  lunghissimi capelli  biondi, abbelliti da  alghe e  fiori acquatici  artisticamente  disposti, occhi cerulei,  pelle diafana.  Erano talmente  leggiadre,  nelle loro  vesti  trasparenti...  Tutto   concorreva  a  dare   l'idea dell'etereo, dell'irreale... eppure erano là.

Si era seduto di fronte a  loro, che galleggiavano a pochi  metri da lui, timoroso di poterle in qualche modo spaventare.

Non lo avevano gratificato di una seconda occhiata, come  sempre, ma neanche avevano interrotto la melodia.

Alcune ore dopo, quando la luna si era alzata, le Ondine si erano rituffate, senza creare la  minima increspatura sulla  superficie immobile del lago.

Lui  era  rimasto  seduto,  e  alla  fine  si  era  addormentato, dolcemente cullato  dall'eco di  quel canto  che si  era  fissato nella sua mente.

I giorni erano  trascorsi solo per  attendere il crepuscolo.  Sin dalle  prime  ore  del  pomeriggio  si  recava  sulla  sponda,  e aspettava la  comparsa delle  creature. Non  venne deluso,  e  si sentiva ormai l'uomo più felice della terra.

Quasi non osava credere a tanta  fortuna: era l'unico  spettatore di quel fantastico evento. Cosa si poteva chiedere ancora?

Quella sera  non  si sentiva  troppo  bene. Era  stato  colto  da vertigini, e un  dolore saettante gli  aveva trafitto il  braccio sinistro, che ora pendeva inerte lungo il fianco. Ma non  avrebbe rinunciato al canto, per nessun motivo.

Con le spalle appoggiate a un grosso sasso, attese che le  uniche compagne della sua  solitudine uscissero, sicuro  che le  avrebbe ascoltate per l'ultima volta.

Quando apparvero,  una  di esse  lo  guardò, come  percepisse  il dolore che lo tormentava, e gli fece cenno di avvicinarsi.

Gli brillarono gli occhi dalla felicità,  e continuò a  sorridere anche mentre,  faticosamente,  si alzava  ed  entrava  nell'acqua scura.

Fece due passi...  si compresse il  petto con le  mani e  scivolò lentamente in  avanti, senza  mai  distogliere lo  sguardo  dalle donne fatate. In un'ultima convulsione, riuscì a rigirarsi  sulla schiena, per vedere  ancora la  luna. Poi,  dovette chiudere  gli occhi.

Allora il dolce canto  delle Ondine si  levò alto, per  spezzarsi appena il suo corpo, trasportato  dalla leggera corrente,  giunse in mezzo a loro.

Quella che lo aveva  invitato a raggiungerle  allungò una mano  a scostargli i  lunghi capelli  incollati  alla fronte,  forse  per meglio vederlo  in viso,  in un  lieve  gesto d'affetto,  in  una tenera carezza quale mai aveva ricevuto  in vita e di cui,  nella morte, non poté gustare l'infinita dolcezza.