LA DONNA DAI MILLE NASI
Plop...
Irina Hudorovich
sollevò le grasse palpebre di una frazione di millimetro, rinunciando
a soffermarsi ancora
sulla paurosa, quanto inutile,
constatazione di essere ancora viva.
Plop...
Gli occhi rimasero chiusi ma
un lento processo mnemonico si avviò automaticamente, senza scampo.
Da quanto tempo aveva deciso
di chiedere a Marko di aggiustarle quello scassatissimo rubinetto? Marko: il solitario,
l'artista principe del piccolo circo; il trapezista dai muscoli d'acciaio; l'uomo sognato da tutte
le donne della compagnia; l'uomo
che nessuna aveva mai avuto.
Plop...
L'unico rumore
all'interno dello squallido
e putrescente carrozzone, trasudante
sporcizia e mistero, il
suo posto di lavoro negli ultimi quarant'anni.
Quanta gente aveva
salito i logori scalini (erano mai
stati nuovi?) per farsi annusare dalla zingara dai mille nasi: da colei
che (sembrava impossibile) riusciva
a indovinare, solo dall'odore, il passato e il futuro di
ogni essere umano.
Le sue capacità non si
limitavano certamente a questo: oh no!
Il suo soprannome era più che pienamente giustificato.
Irina poteva infatti
riconoscere ogni tipo di profumo da donna
e da uomo, e ricordarne il nome anche dopo anni, aiutata in questo da una memoria a senso unico. Poteva
indovinare, a occhi bendati, di quanti e
quali tipi di fiori fosse composto un mazzo,
non importavano le dimensioni. Poteva sapere a distanza cosa stesse mangiando ogni membro
della compagnia. Riusciva a
predire i temporali solo allargando
le narici per inspirare.
Poteva... poteva.
Marko no. Passava il
suo tempo a rinvigorire e
mantenere in esercizio il
suo meraviglioso corpo. Era alto, Marko, tanto da sfiorare le travi del soffitto di
qualsiasi carrozzone.
Marko aveva sempre appetito: i suoi istinti erano
primordiali, come il suo cervello. Marko
riusciva a stento a farsi
capire e non sarebbe
mai stato in
grado di reggere
una semplice conversazione.
Com'era bello Marko.
Plop...
Maledetto rubinetto. Il
trapezista l'avrebbe stretto
in due secondi, magari con le
sole mani.
Irina aprì gli occhi
continuando a ricordare.
Da bambina suo padre le
aveva predetto una vita infelice proprio
a causa delle sue facoltà, ma lei non ci aveva creduto.
Quelle capacità avrebbero
fatto invece la sua fortuna. La gente comune avrebbe sborsato molto, molto
denaro per conoscere il proprio futuro: ma le cose non erano
andate nella maniera giusta. Quella volta, a sedici anni, si era lasciata sfuggire un gemito d'orrore scoprendo che
il cliente di
fronte a lei
era un uxoricida impunito;
terrorizzata era fuggita
nei campi: quell'uomo
avrebbe cercato di seppellire
con lei il
proprio segreto. Suo padre le aveva senza dubbio salvato la vita: l'uomo era scomparso. Irina non
si era mai più avvicinata a
Vassilj tanto da percepirne l'odore.
La particolarissima disfunzione
della pituitaria continuò
a causarle guai a ripetizione nella vita.
La zingara non era mai
riuscita, infatti, a
sviluppare un meccanismo di
controllo delle miriadi di sensazioni che colpivano il suo cervello
attraverso l'olfatto: non
poteva escludere, ordinare o
catalogare gli impulsi percettivi.
La sola differenza era
costituita dal fatto che gli odori
propri degli esseri umani erano
molto più forti, tanto da
sovrastare nettamente quelli appartenenti
agli animali o
alle cose inanimate.
Il giro d'affari
che Irina si era riproposta di
creare era rimasto un sogno: della
fila di clienti che attendevano
alla porta del carrozzone aveva
potuto accontentare solo due o
tre persone al giorno.
Certo, il richiamo prodotto
dai suoi poteri era stato fortissimo, ma le sue forze si esaurivano in breve tempo, non permettendole di lavorare tanto a lungo
quanto avrebbe voluto.
Poi era arrivato Marko.
Plop...
Era figlio
di lei, concepito
durante un breve,
burrascoso incontro con il
capo di una tribù di
passaggio (allora aveva ventitré
anni). Il bruno montenegrino
l'aveva attirata sino al laghetto, con la promessa di mostrarle gli
spiritelli delle acque che sosteneva essere in grado di evocare.
All'improvviso le era
saltato addosso: la furia dei suoi sensi, e principalmente i suoi odori di uomo
eccitato, cattivo, voglioso,
l'avevano investita come
una valanga di
neve sporca, tramortendola
e fustigandone i sensi fin
quasi all'orlo della pazzia.
Aveva ricordato solo vagamente i
vestiti che venivano strappati,
la sozza e brutale penetrazione, il folle
agitarsi dentro di lei e il gelido silenzio che era seguito.
Non lo aveva raccontato a
nessuno, ma le nerbate somministratele
da Vassilj quando il suo stato era
diventato evidente segnavano ancora le
sue spalle.
Marko! Appena nato l'aveva stupita. Non emanava alcun odore da lei percettibile. Era meraviglioso poterlo
tenere in braccio per ore senza
avvertire la nausea
causata dalla vicinanza
con chiunque altro. Irina non avrebbe mai più potuto provare l'amore fisico; la repulsione
che tale atto
le ispirava era
anche sostenuta dalla consapevolezza che un'altra esperienza del genere
poteva significare la morte.
Plop...
Aveva seguito Marko nella
crescita, senza mai perderlo di vista,
non volendo dividere con nessuno il
sottile piacere che la sua vicinanza le dava. Lo aveva tirato su in maniera da inculcargli il rifiuto di qualsiasi amore che
non fosse quello materno.
E lui era diventato sempre
più alto, forte e bello; e al
tempo stesso schivo e taciturno, salvo
che con sua
madre. Aveva ricambiato quell'amore
morboso non staccandosi
mai dal carrozzone, dormendo con
lei per anni e anni.
Le esercitazioni e le
esibizioni al trapezio erano le uniche
ore che non trascorreva con Irina, per lo più in silenzio.
Era così
bello preparargli la
cena e vedergliela
ingoiare avidamente, come del
resto il pranzo o la colazione; era così dolce rimboccargli le lenzuola prima di
dormire, sfiorandogli le labbra umide.
Quando era cominciato? La
zingara sollevò le palpebre di un'altra frazione di millimetro. Non era certa che
fosse iniziato in un periodo
determinato. Forse l'attrazione era stata spontanea dalla prima volta che
aveva stretto Marko al seno
per allattarlo, sentendosi
stranamente felice per la forza con cui il
lattante succhiava la sua vita.
Plop...
Perché aveva sempre distolto lo sguardo quando Marko si lavava nella tinozza del carrozzone? Perché
non lo aveva mai aiutato ad asciugarsi?
Perché lo aveva mandato dallo "stregone" quando il ragazzo aveva avvertito dolori al
basso ventre, mentre in altre occasioni lo aveva curato da sola?
Irina non si rispose.
Ricordò quando, circa un
mese addietro, nel dargli la buonanotte, si era attardata con le proprie labbra
sulle sue, finché Marko si era stizzosamente girato verso la finestra. Cosa gli
aveva fatto? Perché si comportava in quel modo?
Rivoltarsi contro sua madre, che
tanto aveva fatto per lui... Irina non
capiva. O non voleva capire.
Sapeva solo che, soprattutto
negli ultimi giorni, la sua mancanza di odori l'aveva assalita fiammeggiandole
i nervi finché, quella sera, appena
Marko era entrato nel carrozzone, lo
aveva colpito alla nuca col
bastone appartenuto a Vassilj. Il
giovane era crollato di schianto:
lei lo aveva faticosamente
trascinato sul letto e
legato strettamente per i
polsi e
le caviglie, passandogli un
altro giro di corda sul torace e annodandola sotto le stecche del giaciglio.
Poi...
Plink...
Il diverso suono attirò
lo sguardo di Irina verso il basso, al centro della rossa
pozza che il legno tarlato
cominciava ad assorbire. Risentì
le urla di Marko quando si era riavuto
mentre si contorceva su di lui in preda alla follia e all'amore. In quel
momento aveva sentito... anche da lui
provenivano gli stessi odori dell'uomo che per primo l'aveva avuta. La rivelazione le morse il
cervello: no, non era possibile, doveva far
cessare quegli odori, immediatamente. E la mano che stringeva il bastone si era alzata
e riabbassata, più
e più volte
finché, nel silenzio, solo
l'aroma penetrante della morte aveva permeato ogni cosa.
Irina si alzò
dalla sedia sghemba,
si avvicinò al
piccolo scaffale e prelevò le
decine di boccette di profumi che
aveva pazientemente acquistato o composto personalmente nel corso degli
anni. Si diresse verso il
letto del figlio,
e amorosamente cominciò ad
aspergerne il cadavere
con tutte le
fragranti essenze.
Quand'ebbe finito si inginocchiò lentamente vicino alla testa che sporgeva dal materasso, e attese.