CATTIVITA'
Quello sì che
era un bell'esemplare di femmina.
Ricordo
benissimo, anche se sono passati tanti anni, quella donna dalle movenze feline.
Era vestita
(anzi svestita) di una pelle, tolta a chissà quale animale, che le lasciava
scoperte ampie parti del corpo.
Era agile, scattante, forte:
e, nello stesso
tempo, dava la sensazione di una morbidezza a me
sconosciuta.
La guardai,
affascinato dai lunghi capelli biondi che il
vento scompigliava. Osservai il suo passo, il suo incedere flessuoso, e
tutto di lei mi pareva bellissimo.
Ora si era
seduta, dandomi le spalle, ma io potevo vedere cosa stesse facendo: lanciava davanti a sè
due piccoli oggetti e, forse a
seconda di come cadessero, tracciava dei
segni sulla sabbia.
Fortunatamente
non avevo alcuna fretta (pensavo), per
cui potei divertirmi con
calma a cercare
di immaginare di
cosa si trattasse. Doveva per
forza essere un gioco, ed anche
abbastanza noioso, visto che
ripescava i due oggetti ad
intervalli sempre più lunghi, finché
li ripose in una
tasca della pelle
che indossava... e si girò a guardarmi.
Mi fissò direttamente negli
occhi.
Ero molto giovane, e
quegli occhi mi inchiodarono là dove
mi trovavo. Non potevo
neanche distogliere i miei, perché
quello sguardo magnetico mi impediva persino di abbassare le palpebre.
Dischiuse le
labbra (pensai stesse ridendo di me) e,
lentamente, si avvicinò.
Cominciai a
tremare, sempre più forte, ma quella
femmina non mi sembrava, tuttavia,
pericolosa. Non provai nemmeno per un istante il bisogno di fuggire. Essa
posava un piede davanti all'altro con
tale
delicatezza che avrei giurato
non lasciasse neppure
le impronte. Probabilmente, a sua volta, temeva di spaventarmi.
Si fermò a qualche
passo da me, e si scostò
i capelli dagli occhi, come per
vedermi meglio. No: non erano occhi... ma due
laghi azzurri in cui avrei potuto
benissimo sprofondare senza mai più risalire.
Si avvicinò
ancora, ed io strinsi follemente le
sbarre che ci separavano. Per
arrivare sin lì, avevo attraversato un largo e profondo fossato, e mi reggevo su di uno
stretto piedistallo, sul quale era infissa l'altissima recinzione. Si
inginocchiò proprio davanti a me, e una
mano callosa (eppure dolcissima) si allungò
attraverso quelle sbarre per
sfiorarmi il volto in una tenera, delicata, lunga carezza.
Vidi una
goccia di liquido formarsi all’estremità di uno dei suoi occhi, e poi
scivolarle lungo il viso lasciando una lucente scia.
Le urla di mia
madre ruppero all'improvviso quell'incanto, e ricordo solo che
mi tirarono via a
viva forza: non
volevo lasciare la presa sulle sbarre, a qualunque costo.
Portai i segni
delle abrasioni per molti giorni...
Tornai, molto
tempo dopo, allo zoo ricavato sull'asteroide Dargh: ma quegli esseri erano scomparsi, così come
il cartello, che non ho mai dimenticato1:
HAUMMO SAAIPTEN KRUMATA LLOSEC KRUMASTAPJ DLW |
1
nella nostra lingua può essere così tradotto:
HOMO
SAPIENS
PIANETA
“TERRA”
SISTEMA
PLANETARIO 814