ANTIPATICO
A CHI?
Alcuni mesi fa, mentre mi trovavo in vacanza in una
località della Turchia con altri amici, una sera qualcuno (non ricordo chi),
lanciò la proposta di arrostire delle bistecche sulla spiaggia. Poi avremmo
suonato, cantato e ballato… oltre, naturalmente a fare il possibile perché le
ragazze “indigene” appena conosciute, che avevano accettato di partecipare alla
festa, ci deliziassero la serata e, possibilmente, l’intera nottata.
La festa riuscì in pieno, se si fa eccezione per la
disponibilità delle donzelle, le quali, allo scoccare della mezzanotte o giù di
lì, si assentarono col pretesto più elementare.
Le attendemmo invano, finché ci rendemmo conto che
nessuna funzione fisiologica richiede così tanto tempo per essere espletata.
Rivolgemmo quindi tutta la nostra attenzione al
resto del cibo e delle birre.
L’ultima cosa che ricordo è di aver allungato la
mano verso il mangianastri, che continuava a sparare musica ad altissimo
volume, per spegnerlo e potermi rannicchiare nel sacco a pelo, in modo da
potermi almeno abbandonare al semplice piacere del sonno.
Sicuramente, senza volerlo, devo aver premuto, al
posto del tasto STOP, i tasti PLAY e RECORD assieme, o non avrei mai potuto
raccontarvi questa storia.
Al mattino mi resi conto, pur con una certa fatica,
dell’errore commesso, versando calde lacrime sulla preziosa ed insostituibile
cassetta dei Beatles, perduta per sempre.
Volli comunque provare a riascoltare il nastro, per
vedere se qualcosa si fosse salvato. Vana speranza, quella, ma qualcosa c’era.
Non la musica, naturalmente, ma le voci di due
persone, impegnate in una discussione piuttosto accalorata, per quanto potevo
intuire dal tono delle voci stesse, che si esprimevano in una lingua a me
sconosciuta, eppure vagamente familiare.
Oggi sono stato a trovare la mia antica
professoressa di materie letterarie, alla quale avevo consegnato la cassetta
affinché la esaminasse. Mi ha guardato da dietro i suoi occhiali, saldamente
appoggiati sul naso grifagno, e mi ha così apostrofato:
“Messer Lodovico, indove le pigliate coteste
fanfaluche?”
“Quali fanfaluche?” ho risposto “Non sono mica
l’Ariosto, io. Che lei ci creda o meno, ciò che è inciso su quella cassetta non
è farina del mio sacco. Ormai ho dimenticato quasi completamente le sue lezioni
di… a proposito, è riuscita a capire di che lingua si trattasse?”
“Certo. E’ greco antico. Con inflessioni attica e
dorica. E’ stata un’emozione non da poco, sentirlo parlare da qualcuno. E
dimmi, chi sono i tuoi amici che conversano?”
“Amici miei? Quella cassetta si è registrata da sola.”
“E pretendi che io ti creda? Secondo me, invece, è
uno dei tuoi scherzi. Forse per mettermi alla prova. Forse per vedere se sono
ancora buona a qualcosa.”
“Le giuro che…”
“Beh, ad ogni modo, questa è la traduzione, più o meno
letterale, della conversazione. Se scherzo era, è stato bellissimo.”
E mi ha consegnato alcuni fogli manoscritti.
L’ho ringraziata con una scatola di cioccolatini e
sono tornato di corsa a casa mia, dove mi sono totalmente immerso nella lettura
di quelle pagine.
Penso che valga la pena trascriverle anche per voi,
ovviamente adattando i termini per un linguaggio maggiormente scorrevole.
VOCE 1:
“Dicevo… antipatico sarai tu. Sei sempre stato
invidioso di me: della mia forza, della mia virilità, della mia bellezza...”
VOCE 2:
“Bello tu? Ma non farmi ridere. Basso, tracagnotto…”
VOCE 1:
“Muscoloso, prego. Asciutto. Spalle larghe. Quel che
ti pare, insomma, ma tracagnotto no, eh?”
VOCE 2:
“Va bene, va bene, per carità. Sei sempre stato
polemico. Senza offesa, semplice constatazione. Ma non puoi negare che il
simbolo della bellezza mascolina, all’epoca, ero io.”
VOCE 1:
“Come no? Solo perché eri cinque centimetri più alto di
me? Ma lascia perdere, guarda. Se essere belli significa essere effeminati,
allora te lo concedo: eri bello. Diversamente…”
VOCE
2:
“Diversamente un accidenti. Io ero snello, anche se
nerboruto, ed ero forte quanto te.”
VOCE
1:
“Quanto chi? Non dico che non valessi una cicca, ma
sicuramente non potevi paragonare la tua forza con la mia. E, per piacere, non
tirarmi ancora fuori la storia degli interventi divini, oppure quell’altra
della mia invulnerabilità. Sai quanto me che sono solo sciocchezze.”
VOCE
2:
“Sì, d’accordo. Questo ora lo so. Ma a quel tempo…”
VOCE
1:
“A quel tempo avresti fatto meglio ad essere meno
superstizioso e più realistico. Pensi che le botte che prendevo sui campi di
battaglia mi facessero male meno che a te o a chiunque altro? Solo che io ero
troppo orgoglioso per ammetterlo. A differenza degli altri guerrieri, anche se
mi sentivo mezzo morto dalla stanchezza, anche se tutte le ossa mi dolevano,
stringevo i denti e andavo a festeggiare, invece di riposarmi come sarebbe
stato giusto. Ecco perché sembravo invulnerabile.
Ma tu sai che non era così. Se lo fossi stato veramente, che bisogno avrei
avuto di andare in battaglia con elmo, scudo, corazza, bracciali e schinieri? E
le mie armi erano come le tue: altro che costruite da Efesto. Questo lo sai per
certo: nella mia armatura ci hai ammazzato il mio amico, no?”
VOCE
2:
“E’ vero. Ho pianto quel ragazzo, credimi. Avrei dato
qualsiasi cosa perché non fosse accaduto. Ma non era possibile.”
VOCE
1:
“Certo che non era possibile. In primo luogo, era
forse destino che la storia dovesse essere così scritta. Inoltre, almeno ti sei
reso conto che gli dei non esistevano. Altrimenti, con tutte le tue preghiere,
ti avrebbero concesso di tornare indietro, no? Facciamola finita, dai, ammetti
che Io sono stato trattato male dalla
storia. Hai sentito come commentano le mie gesta? Hai sentito come mi
definiscono? Quell’antipatico che, se non
fosse stato invulnerabile, col cavolo che si sarebbe lanciato con tanto gusto
nelle mischie. Ti sembra giusto?”
VOCE
2:
“No, effettivamente no. Va bene, te lo riconosco.
Eri davvero più forte di me. Veramente eri il più forte di tutti, all’epoca.
Come ti invidiavo io, altri ti avranno invidiato, anche a distanza di secoli.
E’ per questo che hanno voluto trovare una protezione soprannaturale per
giustificare la tua forza di braccio e di animo. Ma ormai, fratello, cosa
importa a noi?”
VOCE
1:
“Ogni volta che pronunci quella parola mi ricordi il
tuo vero fratello. Quel bastardo, furbo bastardo, la cui furbizia era pari solo
alla sua vigliaccheria. Quel subdolo assassino. Lui sì, aveva capito come
fregarmi, e c’è riuscito in pieno. Non l’ho più rivisto, ma se me lo trovassi a
portata di mano…”
VOCE
2:
“Non puoi fargli niente. Non più. Lascia perdere
anche il suo ricordo. Io stesso ho sempre cercato di non pensare che tante
morti, tanta rovina, potevano essere evitate, se non fosse stato per lui. Ma
sai, lui era il bello ed il cocco della famiglia. Nostro padre non ha mai
saputo negargli niente. E così è cresciuto nella convinzione che tutto gli
fosse dovuto, e che poteva prendere qualsiasi cosa gli piacesse, come quella…”
VOCE
1:
“Basta, amico. Basta così. Vieni, abbiamo ancora
tutta la notte per passeggiare e rimirare questa splendida luna, senza dover
per forza ripensare a cose tristi. Pensa piuttosto a come, da morti, ci siamo
conosciuti meglio e come siamo diventati amici. E dimmi, sinceramente: a
distanza di anni, te la sentiresti di definirmi antipatico?”
VOCE
2:
“No, no. Se tutti ti conoscessero quanto me…”
A questo punto il nastro termina. La funzione di
AUTOREVERSE non era stata attivata, per cui, alla fine della cassetta, è
scattato il comando di STOP.
Non ho tentato in alcun modo di capire cosa sia
successo. Voci di fantasmi nel vento oppure chissà cosa. Non voglio sapere. Mi
basta la cassetta per rendermi conto che non si è trattato di un sogno.
Quanto all’identità delle voci, mi piace pensare che
la n.2 sia quella di Ettore, figlio di Priamo, e la n.1 del Pelide Achille.
Voi che ne dite?
Anche a voi Achille stava antipatico?