AMBROSIA
Il cielo rosso porpora, solcato da strisce giallastre, non era proprio la migliore visione che si potesse desiderare, di primo mattino.
Ma bisognava accontentarsi,
su Trel/7.
Quanti anni
erano passati? Almeno
duecento, dalla prima colonizzazione. La pubblicità
aveva bombardato gli elementi più sensibili della vecchia Terra, sino alla
nausea. Tutti coloro che, per
un verso o l'altro, aspiravano ad
essere lasciati in pace,
accettarono l'offerta del viaggio gratis, comprensivo di materiali, animali, piante, insomma tutto
quanto sarebbe servito per ricreare una
copia (in miniatura) del nostro pianeta.
I miei
bisnonni erano tra
quelli che salirono
sull'enorme astronave e che, dopo un lungo viaggio, sbarcarono su Trel/7.
Le cose non presero una
buona piega. Il sistema di governo che si instaurò sul
pianeta dal cielo
rosso era del
tipo monarchico-afflittivo, in pratica
una tirannia degenerata, sfruttante il metodo del pugno
di ferro in guanto di ferro.
La miseria del
popolo era il
presupposto dell'opulenza del tiranno: nessuno avrebbe dovuto possedere alcunché, per evitare il desiderio del superfluo. Ad
ognuno (che lavorasse come uno schiavo) venivano assicurati i pasti, e
questo era tutto.
Le tecnologie erano state
abbandonate, e troncati i rapporti con
il pianeta-madre. Nessuno aveva protestato.
La civiltà, se così si può chiamare, era improntata al modello medioevale, e nulla sarebbe mai cambiato.
Ci avrebbero pensato i
nostri signori e padroni, circondati da un numeroso esercito
pronto a reprimere
qualsiasi ideologia o attività contraria al loro volere.
Nessuno, compreso me,
si è mai ribellato. In fondo stiamo bene anche così. Probabilmente i geni
ereditati dai nostri avi erano intrisi di quel desiderio di
tranquillità che li aveva spinti ad
abbandonare la Terra. Beh! Qui si può anche morire di noia, visto che non ci
sono attrattive o svaghi. Il lavoro è
l'unico metodo per far passare il tempo.
Io sono un pastore, come mio
padre ed il padre di mio padre.
Il mio gregge è composto da
cento pecore e dieci montoni. Mi sono stati assegnati due
cani, inutili dal
momento che qui
non esistono lupi o bestie feroci: ma non si sa mai...
Mi
sono costruito una specie di flauto e, alle volte, provo
a ricavarne musica. Non sono
bravo, ma lo diventerò, a furia
di provarci. Ho tanto tempo davanti a
me. Vorrei vedere almeno una
volta il cielo della Terra. Si narra che fosse azzurro come certi fiori di qui.
Anche il mare doveva essere azzurro, e non violaceo come il nostro. E il sole? Giallo, arancio, o rosso, a
seconda dell'altezza sull'orizzonte. Quello che splende lassù,
invece, è di un celeste pallidissimo, e
non cambia mai.
Oggi ho fatto una
scoperta molto interessante:
sono sceso al torrente (tanto al gregge ci
pensano i cani), ed ho rotto
la crosta di ghiaccio per prendere l'acqua. Il grande albero che si ergeva sulla riva
è caduto qualche giorno
fa, e le
radici guardano ora verso il cielo. Ho
immerso la mano nel buco e l'ho
ritirata con altrettanta velocità, avendo toccato qualcosa
di freddissimo e duro. Piano piano ho allargato la breccia e, ad una
profondità di meno di venti centimetri, ho visto.
Un ammasso di
cilindri, tenuti assieme
da una reticella
o qualcosa di simile. Dovevano
essere incastrati sotto le radici dell'albero e, con la caduta di
questo, la corrente li ha mossi. Ne ho preso uno, (chissà se tutti gli altri
sono uguali?), e l'ho portato fino a casa.
Il mucchio è saldamente
incastrato tra le rocce, e non si
muoverà.
L'ho esaminato ben
bene. E' fatto di un metallo leggerissimo e poco resistente. Non presenta aperture di sorta. Cosa conterrà? L'ho bucato con il mio coltello e
ha schizzato uno strano liquido dappertutto. Poi mi sono fatto coraggio e ne ho assaggiata una goccia che si era fermata sulla mano.
Divino!
La più bella esperienza che mi sia
mai capitata. Ho ingollato in un solo sorso il liquido
rimasto nel contenitore, ma non mi basta! Domani ne prenderò un altro.
Sono
piuttosto preoccupato. Stamattina, dopo
aver recuperato un altro cilindro
(da quanto tempo erano lì?),
l'ho bucato con cautela ma, mentre
lo accostavo alle
labbra, un "Cosa
stai facendo?" mi ha colto
si sorpresa. A fatica
ho evitato di spandere tutto sull'erba. Era una
pastorella, che avevo già visto nei dintorni. Bei capelli lunghi, bel viso,
belle gambe e un seno prorompente. Ma in quel momento non m'interessava. Mi
ha chiesto cosa avessi in mano. Da buon cretino, ho pensato bene di farle assaggiare la bevanda. L'ha fatto: ha cambiato colore e mi
ha accusato, con voce strozzata, di averla avvelenata, affatturata, e chissà che altro. Infatti non
ho capito tutto, perché stava già correndo via. Speriamo che non mi denunci.
Speranza vana. Sono arrivati
mentre, tutto felice, mi scolavo un
altro contenitore. Mi hanno minacciato di morte se non consegnavo tutto e
subito. Sono stato costretto a tirar fuori
dal ruscello la reticella con gli altri
cilindri. Mi hanno ricordato che tutto è del re. Noi non dobbiamo possedere
niente. Qualsiasi cosa venga ritrovata deve essere consegnata all'esercito, che provvederà a farla
pervenire al sovrano.
Per essere
sicuri che non dimenticassi tanto in fretta
mi hanno somministrato dieci frustate. Ma non sono quelle che mi hanno fatto male. Ho pianto solo al pensiero che non assaggerò più
quel liquido meraviglioso. Mentre si allontanavano ho provato il desiderio di rincorrerli, di supplicarli che mi
lasciassero un contenitore, uno solo.
Però mi sono fermato in tempo, frenato da due considerazioni:
prima:
avrebbero potuto giustiziarmi sull'istante per ribellione;
seconda: forse, sotto qualche altro albero, ci sarà
ancora qualcosa.
Sono sereno. La speranza di
un altro ritrovamento è l'unica cosa che
mi permette di continuare a
vivere e lavorare. Tra poche settimane il ghiaccio si scioglierà,
ed io perlustrerò tutto il corso
del ruscello: guarderò
dappertutto. Mi immergerò
e controllerò tra le radici di tutti gli alberi. Sento che troverò quello che cerco.
Non
avrò paura di sbagliarmi. Ero riuscito a
decifrare anche il nome di quel nettare,
scritto a lettere bianche su sfondo
rosso: COCA-COLA.